Leggetevelo attentamente questo articolo della Stampa. A giudicare dall' indirizzo mail, l' autore deve essere un professore della Bocconi, cioè di uno che "sta dalla parte giusta", cioè da quella dei poteri forti. Infatti, prende sul serio il programma di Veltroni! Vabbè, non è per questo che ve lo segnalo. La cosa interessante è che il prof. Bruni è convinto, ma guai a dirlo esplicitamente, che Veltroni perderà le elezioni e allora invoca l' inciucio. Insomma, se Veltroni dovesse vincere, avrebbe la capacità di governare da solo ma, se perdesse, allora servirebbe l' aiuto di Berlusconi!! Logico, no? Certo! Un governo bipartisan sarebbe comunque auspicabile per l' Italia? Se l' Italia fosse la Germania, sì. In quel paese i due grossi partiti credono entrambi alle regole del mercato e al capitalismo. In Italia, no. Uno dei due contendenti non ci crede affatto anche se, da qualche mese, finge il contrario. Se governassero insieme, succederebbe quel che è successo a Berlusconi quando ha governato con Casini e Fini: fronda continua in nome dello stato sociale e della concertazione coi sindacati! Risultato: non è cambiato niente! Ora Casini non c'è più e si spera che Fini, con la prospettiva di succedere a Berlusconi, la smetta di opporsi al liberalismo e alle liberalizzazioni.
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Domande e dubbi sul programma di Veltroni
FRANCO BRUNI
Sarà opportuno, più in là, cercare il pelo nell’uovo. Per ora è più utile constatare che il programma del Pd presentato lunedì è centrato con chiarezza sugli interventi strutturali dei quali l’Italia ha bisogno; e riflettere sulle difficoltà di realizzarlo.
Difficoltà economiche. Il programma cerca di rassicurare sul fronte della finanza pubblica. L’elenco delle «azioni di governo» comincia con la riduzione della spesa, insiste sulla lotta all’evasione, vuol ridurre il debito utilizzando il patrimonio delle pubbliche amministrazioni. Ci sono però tante promesse di riduzioni di imposta, variegati incentivi, numerose spese e misure preziose ma costose, come quelle per rendere sostenibile la flessibilità dell’occupazione. Nel migliore dei casi è un programma finanziariamente coraggioso, dove il Quintino Sella di turno dovrà usare rigore e farsi perdonare il cipiglio dimostrando che il governo, oltre a controllare la quantità della finanza, ne migliora la qualità. La congiuntura internazionale non aiuterà Quintino. Le previsioni continuano a peggiorare: oltre alla riduzione del gettito fiscale derivante dal rallentamento ciclico, c’è il pericolo di dover finanziare salvataggi eccezionali. Confortiamoci pensando che l’Italia va molto peggio della media europea e dunque, se un nuovo governo la sblocca, può crescere un filo di più anche se l’Europa rallenta. La quantificazione e la copertura degli oneri del programma vanno comunque chiarite al più presto.
Ci sono poi difficoltà politiche. Il programma pesta i piedi a gruppi di interesse agguerriti. Il che gli fa onore. Se l’elettorato riterrà che sia fattibile, potrebbero arrivare i voti per provare a governare. Per essere eletti i voti si contano. Ma quando poi si governa, i nemici si pesano. Bastano pochi prepotenti per creare gravi ostacoli.
Qualche esempio. Decentrare la contrattazione dei salari, differenziare i trattamenti territoriali, premiare la produttività, adoperare i contratti di lavoro per superare la dicotomia fra precari e inamovibili, evitare gli incidenti di lavoro con presidi locali accurati invece che con parole altisonanti: tutto ciò significa modificare il ruolo dei sindacati, sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, riducendo l’influenza dei protagonisti dei grandi tavoli romani, carichi di suggestione e visibilità politica. Protagonisti che verranno ridimensionati anche se le politiche del lavoro saranno decise cercando il consenso più direttamente nel Parlamento e nel Paese e meno nelle estenuanti trattative corporative. Una bella frase del programma dice che per aumentare la produttività del sistema le parti sociali devono «cambiare comportamenti e riformare le regole della loro rappresentanza». Andrà detto ancor più chiaro?
Riformare il mercato finanziario significa urtare gli interessi di chi oggi vi opera con meno capacità, correttezza, trasparenza, ma con più protezioni e influenze lobbistiche. La riforma dell’Università, così come delineata nel programma, è una magnifica rivoluzione: ma significa grandi difficoltà e opposizioni degli atenei e dei professori meno capaci, per non parlare degli studenti cui sono indigeste, per esempio, le «rette fissate liberamente», anche se ben compensate da borse di studio. La liberalizzazione dei servizi pubblici locali significa togliere potere e denaro a enti e gruppi che li gestiscono in modo opaco e inefficiente. Fare riforme che coinvolgono tassisti, camionisti o agricoltori significa predisporsi a resistere alle loro proteste violente e illegali. Che cosa ci assicura che un governo Pd avrà la forza di procedere?
La realizzabilità del suo programma dipende anche da quella delle riforme elettorali e istituzionali che contiene: esse aumentano la forza con cui un governo può vincere la battaglia con i gruppi di interesse. Richiedono però un accordo con Berlusconi il cui programma, quando sarà dettagliato, è comunque cruciale per il destino di quello del Pd. Se pesterà i piedi anche lui (e non solo ai politici concorrenti), non potrà esser molto diverso: le cose da fare, a dirle chiare, son quelle che sono. Converrà allora che i due contendenti ne ribadiscano alcune insieme, prima delle elezioni, rendendo così più credibile l’impegno a farle davvero. Magari, se occorresse, governando per un tratto assieme. Se invece il programma del Pdl sarà altisonante, ma opaco e tranquillizzante, Veltroni avrà due reazioni possibili. Nascondere ancor più che il suo, invece, morde: sarebbe una disastrosa gara al ribasso, magari mascherata dietro i falsi muscoli di un ritorno alle reciproche insolenze. O criticare con didascalica precisione il buonismo dell’avversario, promettendo cooperazione per affrontare con coraggio i tanti, forti scontenti che nascono dalla realizzazione di qualunque buon programma.
franco.bruni@uni-bocconi.it
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giovedì 28 febbraio 2008
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3 commenti:
Veniamo da anni in cui il confronto è stato un punto di riferimento negativo. Mi riferisco anche al termine "inciucio" che nella nostra lingua si è fregiato di un significato negativo. Il discorso a mio modo di vedere è molto più alto. Nel momento in cui si parla di riforme strutturali è doveroso aprire un dibattito esterno ai partiti di maggioranza.
In un momento così delicato, in cui il dollaro è ai minimi storici e il petrolio non ferma la sua corsa, la speranza degli italiani deve essere quella di trovari negli amministratori che saliranno al governo di questo paese persone capaci di leggere il presente e scrivere il futuro prima ancora del suo manifestarsi.
E aggiungo che mai come in questi tempi c'è bisogno di una forza popolare e conservatrice come il PdL.
FDA
www.arcadiaroma.blogspot.com
Amico mio, sarei d' accordo con te se avessi vent' anni, ma purtoppo guardo alla politica di questo paese ormai da 40 anni. Troppi per avere ancora la voglia di "volare alto", cioè di illudermi che un governo delle larghe intese, in questo paese, non si trasformerebbe rapidamente in uno sterile "inciucio". Tieni conto di un fatto: Berlusconi può anche vincere le elezioni con una larga maggioranza e accordarsi con Veltroni da una posizione di forza, ma l' abbraccio sarebbe comunque mortale per il semplice fatto che "i poteri forti" sono contro di lui, sempre e comunque.E i poteri forti hanno in pugno il paese da 60 anni e più.
Per avere almeno una possibilità di batterli, il Berlusconi deve avere le mani libere. Insomma, se si accorda, il "grande blob" lo inghiottirà ...
Ovviamente, nel caso l' inciucio avesse luogo, spero che la mia fosca previsione non si avveri.
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