martedì 18 marzo 2008

Allegri! Comincia principato-poli!

Dopo le infauste conseguenze di Tangentopoli, che ci aveva illuso di essere la svolta epocale di cui l' Italia aveva bisogno per modernizzarsi e che invece si è risolta nella semplice sostituzione, nel centrosinistra, del PCI al posto del PSI (come dire: dalla padella alla brace), le vicende giudiziarie con suffisso -poli non mi appassionano più.
Mi soffermo su questa, nuova di zecca e imperniata sul caso dell' impiegato infedele del Principato del Liechtenstein, soltanto perchè ho trovato "divertente" l' articolo della Stampa che segue e che parla di uno dei protagonisti del nuovo caso, tal Vito Bonsignore (foto).

Dopo averlo letto, potreste chiedervi cosa ci abbia trovato di divertente. Be', da qualche settimana, (come ben sa chi mi segue) mi è venuta la fissazione dell' inciucio e questo Bonsignore mi pare un bell' esempio di inciuciatore ante - litteram, un po' andreottiano, un po' dalemiano, un po' berlusconiano ....

La Stampa

18/3/2008
Don Vito, affari e politica
dal divo Giulio a D’Alema

Carriera spericolata sotto la Mole
JACOPO IACOBONI

Per capirne le risorse, Vito Bonsignore è uno che è riuscito a portare Andreotti in discoteca alle dieci di sera. Le scalate, D’Alema, le telefonate, sono venute dopo.

Accadde nel ’92 al Magic Club di Trofarello, Andreotti era venuto a sostenere la corsa del suo proconsole in Piemonte. I giovani della cintura torinese lo accolsero urlanti, «ti voteremo! viva la Dc!». Il divo Giulio fu visto incurvarsi, più del solito; accennare una smorfia; sussurrare memorabile «e no, regà, io so’ senatore a vita... ma chi vota Vito Bonsignore è come se votasse me». Prima del fedele andreottiano c’è stato il doroteo, e dal 2000 ci sarà il socio fondatore del Ccd (poi Udc) di Pier Ferdinando Casini, infine il neo-berlusconiano di questi ultimi tempi: ma l’andreottismo è una vocazione, non un’appartenenza del momento.

Per il Vito Bonsignore economico fanno invece fede la passione per gli affari (autostrade e banche), la capacità del self-made-man, talora i processi, una condanna a due anni - «ingiusta, il giorno più brutto della mia vita», per una tangente che avrebbe dovuto essere pagata per l’ospedale di Asti, e nel ‘92 lo fece dimettere da sottosegretario dc - e un’assoluzione dall’accusa di aver ricevuto 250 milioni di lire in una scatola di cioccolatini dall’ex presidente dell’Italstat Mario Alberto Zamorani. Disse Bonsignore al giudice: «A quel tempo sa, entravo in ufficio a Porta Susa il mattino e uscivo la sera. Ricevevo centinaia di persone, di amici»...

Pensare che era arrivato dalla Sicilia, Bronte, col diploma di geometra, «la laurea l’ho presa studiando di notte», e ha costruito il suo impero (la sua Gefip arriverà a possedere il 2,8% di Bnl, e 69 milioni di attivo nel 2006) partendo da un impiego alla Satap, la società della Torino Piacenza; prima dipendente, poi direttore generale, quindi nemico del patron Gavio. Marcellino nel 2000 per toglierselo di torno come socio ingombrante pagò 287 miliardi di lire, di lì Bonsignore avviò la costruzione del terzo polo autostradale italiano, assieme a Banca Carige (dell’amico Giovanni Berneschi) ed Efibanca, controllata dalla Popolare di Lodi.

Certo amici e nemici possono variare, ma senza sciocche rigidità. Da Paolo Cirino Pomicino ad Alessandro Sodano, cugino del cardinale Angelo, a Salvatore Ligresti, nato a pochi chilometri da lui, Paternò, a Cesare Previti - il cui figlio Stefano è socio di Katia Bonsignore, avvocato anche lei - l’affetto che lo circonda può essere grande. Del maestro divo Giulio, Vito ha conservato la duttilità mentale che lo fa colloquiare con Silvio e con D’Alema. Bonsignore ha appena mollato l’Udc per sostenere il Pdl, dovrebbe correre di nuovo per il Parlamento europeo (a Strasburgo entrò nel 2004 per la rinuncia di Marco Follini). E quando nel maggio del 2006 si pensò che D’Alema potesse salire al Colle, Vito si lamentò col ministro degli Esteri, «se vai al Quirinale come farò a venirti a trovare?». Lo sventurato rispose: «Ti invito!».

Ecco. Nella famigerata chiacchierata D’Alema-Consorte, 14 luglio 2005, nel pieno della scalata a Bnl, il ministro dice al presidente Unipol che Vito «è interessato, se vi serve, resta». Unipol nell’agosto 2006 comprerà dai «contropattisti» il 27% di Bnl. E chi erano, costoro? Caltagirone, Stefano Ricucci, Danilo Coppola, Giuseppe Statuto, i fratelli Lonati, Giulio Grazioli (il conte, sì, quello del palazzo di Berlusconi) e Vito Bonsignore. Osserverà l’avvocato di Consorte che «quella di Bonsignore è una grande stupidata fiscale, non c’è nessuna contropartita»; ma a sinistra sarà l’inizio della fine (dei Ds). Un altro gip - processo Bpl Antonveneta - scriverà che «Fiorani ha riferito dettagliatamente degli appoggi politici che avevano supportato l’operazione Antonveneta». E chi erano gli sponsor? Per il gip, «Grillo, Tarolli, Vito Bonsignore, Aldo Brancher».

Poi sulle scalate è sceso il sipario. Vito continua la politica, gli affari, i pochi hobby. Ama Omero, «penso a lui quando sento odore di Odissea», gli spaghetti al pomodoro, le spremute d’arancia. È ricco, cinque milioni in Liechtenstein sono una bazzecola; ma generoso: nel ’92 finanziò le vetrate della chiesa del Sacro Cuore nella natia Bronte, dove immortale stele accoglie il turista: «Vito Bonsignore munifico donò in anno Domini 1992».

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il cannocchiale

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