giovedì 13 marzo 2008

Ohhhh, finalmente!


Sia resa lode al narcisismo degli opinionisti. Peccato che, in loro, prevalga raramente, attenti come sono a volare sempre basso per mantenere il loro spazio sulle colonne dei giornali di proprietà dei Padroni del Vapore.

Oggi è stato Sorgi, sulla Stampa di Agnelli, a lasciarsi andare al desiderio di mostrarsi più acuto dei suoi colleghi. Grazie a questo suo raro ma impellente desiderio di fare il "figo", finalmente ci ha detto la verità su Casini e svelato quale era il grande disegno politico che coltivava da anni: fottere Berlusconi! Per conto dei Padroni del Vapore, naturalmente.

Inutile che vi riassuma io la grande rivelazione: Sorgi scrive assai meglio di me, quindi leggetevelo e, poi, meditate!

Aggiungo soltanto che la mia stima per il Berlusca è ancora aumentata, ora che so per certo (grazie all' odierna botta di narcisismo di Sorgi) perchè ha fatto fuori Casini così brutalmente.


La Stampa
13/3/2008
Il Centro senza palla
MARCELLO SORGI
A dispetto dei sondaggi che lo descrivono in grande ascesa, le elezioni politiche in cui il Centro, per la prima volta dopo quattordici anni, torna a competere con la Destra e la Sinistra, sono anche quelle in cui parte con più difficoltà. Non doveva essere così, non sarebbe stato così, se lo scioglimento anticipato delle Camere fosse arrivato, come molti prevedevano, nel 2009.

Invece la rottura di Mastella, l’improvviso collasso della maggioranza prodiana e la chiamata alle urne degli elettori dopo soli venti mesi di legislatura, hanno improvvisamente travolto un progetto in preparazione da anni, accelerando la formazione del nuovo quadro politico basato su due grandi partiti rifondati e riaprendo al momento per Berlusconi, più che per Veltroni, la possibilità di tornare a Palazzo Chigi.

Prima di questa svolta, il disegno ruotava attorno al partito di Casini, ma non solo, e puntava a uno svuotamento di Forza Italia e a una riorganizzazione dei suoi voti e della sua presenza parlamentare, grazie all’esaurimento della spinta del Cavaliere (dal quale, non a caso, il leader dell’Udc aveva cominciato a prendere le distanze fin dall’epoca del governo di centrodestra). Non più e non solo un piccolo Centro cattolico erede di quel che restava della tradizione Dc. Ma un nuovo Centro largo e composito, nel quale avrebbero potuto confluire tutte le spinte e le personalità della politica, della cultura, della tecnocrazia e della società civile - da Monti a Montezemolo, per usare una semplificazione, ai movimenti di base dei cattolici - da tempo deluse dalle due modeste e speculari esperienze dei governi di centrosinistra e centrodestra, e dall’impossibilità dimostrata di promuovere vere riforme al loro interno. Un siffatto Centro, va da sé, avrebbe rioccupato stabilmente una posizione di guida del Paese, negoziando i programmi di governo con alleati di sinistra (più probabilmente) e di destra.

È esattamente questa tela - da mesi, per non dire da anni, in tessitura, sotto la luce del sole - che è stata lacerata, prima dal sorgere di un inedito asse tra Veltroni e Berlusconi, e poi dalla crisi e dalle elezioni. Oggi Casini in persona riconosce che ha dovuto mettere insieme le sue liste, senza andare tanto per il sottile, «in una settimana». Ed è evidente che molti degli osservatori e dei mondi che guardavano con simpatia al suo progetto si sono tirati indietro. Quel che occorre capire, a questo punto, è se - sia pure in uno spazio politico ristretto - il nuovo Centro nato dall’alleanza tra i diversi gruppi cattolici, dalla diaspora di una parte dell’Udc e dal ritiro di Mastella, possa risultare competitivo, sul terreno in cui gli elettori moderati giocano le loro scelte e determinano il risultato finale delle elezioni.

Ma anche in questo campo, è inutile negarlo, la strada è in salita. Una volta infatti la competizione tra i due partiti maggiori - Dc e Pci - si giocava sulla rappresentazione della società: interclassista e solidale, secondo i cattolici; di classe e conflittuale, salvo vaghe eccezioni tipo «patto tra produttori», per la sinistra. Oggi invece il monopolio dell’interclassismo non esiste più: Veltroni, come Berlusconi, candidano insieme imprenditori e lavoratori, borghesi e operai, precari e popolo della partita Iva. Se c’è una differenza, tra i due nuovi partiti a vocazione maggioritaria, è che nel tempo Berlusconi, e per lui Tremonti, hanno riscoperto posizioni stataliste che nel passato appartenevano alla sinistra classica ed oggi a quella radicale. Mentre Veltroni ha colorato la sua strategia di striature di liberalismo, che il Cavaliere addirittura lo accusa di aver copiato dalla prima Forza Italia.

Non esiste più un serbatoio privilegiato di voti moderati. Anzi tutto avviene in una cornice di preteso moderatismo, in cui i leader si rispettano, si confrontano ma non si scontrano, non si insultano più. Alla fine, il massimo di polemiche può riguardare Ciarrapico, un vecchio marpione fascista accreditato del controllo di un pacchetto di voti locali, che tra la neutralità verso Veltroni e l’alleanza e il seggio al Senato offertogli da Berlusconi, ha scelto la seconda opzione.

Resta il voto cattolico, il cui prezzo, stavolta, è più alto, stando ai documenti dei vescovi e agli editoriali di Osservatore Romano e Famiglia Cristiana. Come Veltroni e Berlusconi, anche Casini ha dovuto prenderne atto. Quando la gerarchia e le voci del mondo cattolico, dopo aver denunciato il «pasticcio veltroniano in salsa pannelliana» e l’«anarchia dei valori berlusconiana», criticano le più discusse candidature dell’Udc (vedi Cuffaro), è segno che non c’è alcuna scelta preferenziale e un’indicazione di cautela per gli elettori credenti. In un quadro radicalmente mutato, la corsa solitaria è insomma diventata più difficile. Forse rimane al Centro il ruolo di sentinella, di denuncia, di guardiano del probabile divario tra le promesse e la condotta di governo del partito che risulterà vincitore. E ancora, quello di possibile alleato di chi dei due vincerà alla Camera, ma magari avrà bisogno di appoggi per ottenere la maggioranza al Senato. A meno che - sarebbe una novità, un’anomalia in Europa, la conferma di una specialità italiana - i due maggiori partiti non decidano di soccorrersi a vicenda, se necessario. E di dar vita a una Grande Coalizione, che per la prima volta vedrebbe il Centro all’opposizione.



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