martedì 11 marzo 2008

Chi si appassiona alla composizione delle liste?

Chi si appassiona alla composizione delle liste elettorali, a parte i diretti interessati?
A mio modesto avviso, solo coloro i quali non hanno mai seguito, sui canali televisivi satellitari del Parlamento e del Senato, i lavori delle Camere. Badate, non parlo degli eventi straordinari, con tanto di diretta TV della Rai, in cui fanno la loro dichiarazione di voto (cioè i loro comizi) i leader dei vari gruppi parlamentari e gli altri fanno il tifo con applausi o schiamazzi. Parlo, invece, del lavoro quotidiano. Quando una legge arriva in aula si sa già se sarà approvata o respinta. Approvata se è stata presentata dalla maggioranza, respinta se presentata dalla minoranza. Il "dibattito" che precede le votazioni è una specie di minuetto in cui ogni capogruppo, o delegato del capogruppo, parla per una manciata di minuti, per sostenere le ragioni per le quali il gruppo stesso ha deciso se approvarla o respingerla. Delle argomentazioni della minoranza nessuno della maggioranza tiene conto, e viceversa. Dopo questo dialogo fra sordi, si arriva alle interminabili votazioni, articolo per articolo, emendamento per emendamento, comma per comma, spesso parola per parola, con le quali la legge viene approvate o respinta. Chi avesse avuto, come me, la pazienza (e il tempo) di seguire per ore questi lavori parlamentari, saprebbe che il mestiere di parlamentare è di una noia e di una frustrazione pari, se non peggiori, a quelle degli operai addetti alle catene di montaggio dell' industria automobilistica di qualche lustro fa. A parte i due parlamentari relatori della legge (quello di maggioranza e quello di minoranza), tutti gli altri rimangono ore e ore in silenzio e incastrati nei loro scomodi scranni, a pigiare i tasti per la votazione elettronica, secondo le ferree indicazioni ricevute dal loro capogruppo. L' unica "emozione" che attraversa l' aula è quando un parlamentare, che ormai ha raggiunto uno stato semicomatoso, ha sbagliato a pigiare il tasto e deve affrettarsi a segnalare al Presidente il suo errore, pena l' accusa di tradimento che potrebbe ricevere dal suo capogruppo. Certo, esistono anche i voti in dissenso, cioè quelli dati in contrasto con la disciplina di partito, e allora questo "eroe" ha la possibilità di scuotersi dal suo torpore e chiedere la parola per illustrarne le ragioni, ma sono eventi rari, rarissimi, quasi inesistenti. Quello che sto cercando di dirvi è che se un parlamentare non appartiene allo stato maggiore del suo partito, è solo un "dito che pigia un bottone", attività che richiede meno materia grigia di quella che serviva ad un operaio per avvitare sempre lo stesso bullone alla scocca di una 500, per otto ore di fila.
La differenza fra i due mestieri, quello di parlamentare e quello di operaio della catena di montaggio, è che il primo guadagna una montagna di denaro e gode di un bel numero di privilegi, mentre il secondo .....
Qualcuno potrebbe obiettare, a ragione, che il lavoro "vero" del parlamentare si svolge nelle aule delle varie commissioni. Certo, in quella sede il singolo parlamentare ha la possibilità di "parlare" ma cosa avrà mai da dire, se la legge che sta esaminando ha già avuto il placet o il non placet della direzione del partito cui appartiene?
Quando sentite dire che la nostra è una Repubblica Parlamentare e che il singolo parlamentare non ha "vincolo di mandato", cioè che è libero di votare con la sua testa, non credeteci, perchè - di fatto - NON è così. In Italia, la sostanza non corrisponde mai all' etichetta ...
Dunque, appassionarsi alla qualità (o alla mancanza di qualità) dei candidati alla carica di parlamentare è esercizio del tutto inutile. Lasciate che lo facciano i diretti interessati che, se si azzuffano e sgomitano per entrare nelle liste, lo fanno - giustamente - solo per il lauto stipendio che percepiranno in caso di elezione (e relativa pensione) e non certo per l' importanza del loro incarico.

Posto qui l' articolo della Stampa che mi ha dato lo spunto per questa riflessione:


La Stampa

11/3/2008 (7:16) - VERSO IL VOTO - CHIUSE LE LISTE
Toghe, stellette e portaborse
Escluso all'ultimo momento Cirino
Pomicino:"Si sono presi i miei voti"
MARCO CASTELNUOVO
ROMA
Molta gente d’ordine, giudici prefetti e militari. Una sorprendente fioritura di portaborse e collaboratori. Meno candidati provenienti dallo spettacolo, per non parlare del mondo della cultura, ignorato. Qualche volto operaio, poi la consueta carica di sindacalisti, avvocati, giornalisti, imprenditori.E qualche escluso eccellente, a partire da Cirino Pomicino che non l’ha presa affatto bene: «Chi mi ha escluso ha preso ciò che non gli apparteneva e cioè il voto popolare». Da sinistra a destra, gli ingredienti si rimescolano ma non muta più di tanto la ricetta seguita per la compilazione delle liste che si contenderanno la vittoria il prossimo 13 e 14 aprile a fianco di undici candidati premier.

Toghe e stellette
Sarà l’effetto indulto, ma tutti i partiti si sono precipitati a candidare militari, magistrati e prefetti. Il nome più noto, tra i militari, è senz’altro quello del generale Roberto Speciale, ex comandate della Guardia di finanza, candidato in Umbria al Senato per il Pdl. Il Pd lo sfida con il generale Mauro Del Vecchio, che si è dimesso dall’incarico di capo del Coi, il Comando operativo di vertice interforze. E c’è un generale in corsa anche per l’Udc: è Andrea Fornasiero, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare. Con Di Pietro correrà invece Silvio Mazzaroli, ex comandante della Kfor nei Balcani. Scendendo di grado, si trova poi il capitano Gianfranco Paglia, medaglia d’oro al valor militare, candidato alla Camera in Campania per il Pdl e costretto sulla sedia a rotelle, dopo essere stato ferito a Mogadiscio nell’agguato al check point «Pasta». Cinque invece i magistrati che si candidano per la prima volta per un seggio in Parlamento. Per il Pdl corrono Giacomo Caliendo e Alfonso Papa. Il Pd punta su Donatella Ferranti, Gianrico Carofiglio e Silvia Della Monica. La Sinistra Arcobaleno mette in campo Gianfranco Amendola. Tra i prefetti il più celebre è Achille Serra, un passato da deputato di Forza Italia e ora candidato Pd. Sempre con Veltroni corre poi l’ex vicecapo della polizia, Luigi De Sena. Il Pdl ha invece in lista Raffaele Lauro e Maria Elena Stasi.

Segretari e uomini di fiducia
La vera novità di questo giro di candidature riguarda il numero esorbitante di membri dello staff che i vari leader si portano in Parlamento. Riconoscimento al lavoro fatto o poca fiducia nei compagni di partito? Veltroni candida il fidatissimo vice Walter Verini, oltre a Silvio Sircana e Sandra Zampa, già nello staff di Prodi, e Piero Martino, portavoce del vicesegretario Dario Franceschini. Sicura l’elezione anche di Luciana Pedoto, segretaria particolare del ministro Fioroni. Nel centrodestra, stessa solfa: in lista, lo storico portavoce dell’ex ministro Martino, Giuseppe Moles e il capo ufficio stampa di Forza Italia, Luca D’Alessandro. Non poteva essere da meno Casini che presenta un po’ ovunque in Italia il fido portavoce Roberto Rao.

Migranti e ripescati
Sono stati personaggi di primo piano alcuni anni fa: ora si riaffacciano in altri partiti: Giancarlo Pagliarini, già ministro leghista nel primo governo Berlusconi, è capolista al Senato per La Destra. Così come capolista al Senato in Sicilia per l’Mpa, è l’ex ministro democristiano Vincenzo Scotti, alla guida del Viminale nel periodo della strage mafiosa di Capaci.

Sportivi
Non ci sono Fiona May, data per sicura con il Pdl, né la nuotatrice Alessia Filippi, già candidata alle primarie nel Pd ma troppo impegnata in vista delle Olimpiadi di Pechino. Alla fine rinuncia anche Gianni Rivera che si era presentato con l’Udc: «È un progetto fallito nella culla». Tra gli (ex) sportivi si candida solo Manuela Di Centa e i vari politici esperti del ramo da Pescante (Pdl) a Ranucci (Pd), l’uomo sulla cui spalla pianse Baresi quando sbagliò il rigore decisivo nella finale di Usa ’94.

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