domenica 16 marzo 2008

Se il liberale dice cose di sinistra

Così titola, la Stampa di Torino, l' articolo di Gianni Vattimo che posto qui sotto. Be', la mia opinione è che se un liberale dice cose di sinistra, forse non è un liberale! Anche io ho seguito l' intervista che l' ex ambasciatore, ora opinionista del Corriere, Sergio Romano, ha rilasciato ad Otto e Mezzo e non mi è piaciuta affatto, guarda caso. L' antiamericanismo di Romano è di stampo democristiano, prima ancora che comunista.

Pensate come siamo messi, in Italia! Da noi non è liberale nemmeno chi si autodefinisce tale!

Ieri sentivo qualcuno, in TV, ricordare che Biondi, avvocato e deputato storico del Partito Liberale Italiano nella prima Repubblica e di Forza Italia, nella seconda, si è incazzato come una jena quando Bersani ha tentato di liberalizzare la professione forense ....

Sempre ieri, ho letto in un blog di destra che Fini è un grandissimo liberale!

Non so se ridere o piangere .... ma sono più portato a piangere su questa nostra povera patria dalle radici catto-marxiste così profonde che neppure Berlusconi riuscirà mai a recidere, anche se dovesse vincere le elezioni.

Sette anni fa le ha vinte e non ha potuto liberalizzare una mazza ....

Ieri ho seguito il suo intervento in ConfCommercio: l' ho visto moscio, poveretto. Lui sostiene che è preoccupato per la crisi economica internazionale che incombe ed ha ragione ad esserlo, ma io credo che sia ancora più preoccupato dal fatto che dovrà affrontarla insieme al liberalissimo Fini e ai liberalissimi democristiani e socialisti che affollano Forza Italia.

Vabbè, motivo di più per votarlo: meglio un vero liberale impastoiato dai suoi illiberali alleati e collaboratori che un finto liberale come Veltroni circondato da altrettanto finti liberali dell' ultima ora, no?

Se non altro, sappiamo che il primo "vorrebbe", se potesse. Del secondo siamo certi che "non" vorrebbe neanche se potesse. ...

La Stampa
15/3/2008
Se il liberale dice cose di sinistra

GIANNI VATTIMO
Che piacere, sommersi come siamo dalla vacuità rumorosa della campagna elettorale, ascoltare la lunga intervista con Sergio Romano, ben noto anche ai lettori della Stampa, nel Tg de La 7 di giovedì sera. Finalmente un po’ di sostanza, dopo giorni e giorni di insipide polemiche sulle convinzioni fasciste di Ciarrapico, candidato da Berlusconi nelle proprie liste per la sola buona ragione per cui anche il Pd ha candidato tanti altri personaggi che politicamente «ci azzeccano» poco, ma promettono di portare voti. E che tristezza dover prendere atto che, in questa situazione, le vestali «democratiche» dell’antifascismo (che peraltro avevano invitato Ciarrapico all’assemblea inaugurale del Pd) risultano insopportabilmente meno simpatiche e meno sincere del Cavaliere e persino del suo candidato così candidamente, ci si passi il bisticcio, mussoliniano.

Contro retorica, vuoto e insincerità
Fino a quando dovremo provare sentimenti di questo genere nei confronti della parte politica che continuiamo a preferire, intendo dire sentimenti di insofferenza, scandalo per la retorica, il vuoto, l’insincerità di tante posizioni degli esponenti «democratici»? Richiamo il caso Ciarrapico solo per evidenziare di più l’abisso che separa polemiche come questa dalle problematiche che, voce nel deserto, Sergio Romano ha squadernato davanti alla platea di La7. E per una certa analogia tra i sentimenti di irritazione di cui sopra e l’ammirazione consenziente che ho provato ascoltando il giro d’orizzonte dell’ambasciatore. Certo, le cose che diceva, come conservatore liberale quale si definisce, mi sono parse straordinariamente vicine a quelle che, da elettore di sinistra, professo da tempo. Non mi sono convertito al liberalismo dell’ambasciatore, né credo si sia convertito lui. E, se è per questo, non penso si sia convertito un economista come Giulio Tremonti che, sebbene in misura diversa, mi suscita oggi un’impressione analoga.

Tra l’ex ministro e l’ex ambasciatore
Sento in quel che dicono l’ex ministro e l’ex ambasciatore le cose che mi aspetterei legittimamente di sentire dai politici ai quali mi ritengo più affine. Sergio Romano ha detto, nell’ordine: che gli Stati Uniti, ai quali sempre ci si chiede di pensare come ai garanti della nostra libertà, sono oggi i massimi esportatori di crisi in tutto il mondo, a cominciare dall’Afghanistan; che la cosiddetta guerra al terrorismo nata dall’11 settembre, per stanare gli autori del massacro, avrebbe richiesto una azione di polizia invece che la disastrosa guerra in Iraq. E poi: che la Nato così com’è non ci serve assolutamente a nulla, adesso che è caduto il comunismo sovietico; e che anzi, in questa situazione, la progressiva adesione di Paesi dell’ex blocco comunista all’alleanza è una inutile e pericolosa provocazione verso la Russia di Putin. Che più? Su Israele - punto dolente se si ricorda che Sergio Romano si è (anche lui!) preso dell’antisemita per la Lettera a un amico ebreo, un libro pubblicato qualche anno fa - la sua idea è che porre come condizione per trattare con Hamas il riconoscimento preventivo dello Stato di Israele è come rifiutare ogni trattativa, giacché proprio questo riconoscimento sarebbe l’oggetto su cui negoziare.

Quanto a Giulio Tremonti, almeno il suo prendere criticamente le distanze dalla retorica della globalizzazione e del «mercatismo» ci sembra una ventata di aria fresca rispetto alle «lenzuolate» di liberalizzazioni alla Bersani, che fino a prova contraria hanno solo agevolato una sempre più frenetica corsa alle fusioni bancarie e di altro genere senza produrre nessun vantaggio per i consumatori-elettori. Infine: della necessità di ripensare, e forse abolire, la Nato ricordavamo che avesse parlato, secoli fa, Bertinotti, prima di inghiottire presidenzialmente anche il rospo della seconda base degli Stati Uniti a Vicenza. Ma è una memoria ormai definitivamente sbiadita.




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