domenica 16 marzo 2008

come si falsifica la cronaca (figuriamoci la storia)


Posto qui di seguito un articolo di Repubblica che riferisce (a modo suo) le esternazioni di Martino sulle nostre missioni all' estero e poi l' articolo della Reuters che le aveva raccolte. Come dire: bugie e fatti, in sequenza.




La Repubblica

Libano, Berlusconi annuncia "Cambieremo regole di ingaggio"

Dure reazioni da Beirut e dal governo italiano: "Parole gravi e irresponsabili"Veltroni: "Un colpo al nostro prestigio internazionale". Casini: "Pura irresponsabilità"

ROMA - Se il Pdl vince le elezioni sappiamo già le linee guida della politica estera. "Cambio delle regole d'ingaggio per i nostri soldati impegnati in Libano" che avranno mani più libere, meno peace keeping e più peace enforcing; "istruttori in Iraq e più uomini in Afghanistan". Ci pensa Silvio Berlusconi in serata a chiarire il senso di una giornata in cui la politica estera, finora defilata in questa campagna elettorale, è stato al centro del dibattito politico. Una giornata in cui, proprio sulla politica estera, il Pdl si è diviso e il governo in carica ha rischiato l'incidente diplomatico con le autorità libanesi.

Tutta colpa di un'intervista dell'ex ministro della Difesa Antonio Martino alla Reuters in cui l'esponente del Pdl aveva annunciato che in caso di vittoria elettorale uno dei primi provvedimenti sarà il ritiro del contingente italiano in Libano, un rafforzamento di quello in Afghanistan e l'organizzazione di una nuova missione in Iraq.

Parole che hanno indotto le autorità di Beirut (al momento non c'è un governo in carica) a convocare immediatamente il nostro ambasciatore per avere spiegazioni. Prodi e D'Alema, entrambi impegnati a Bruxelles in un vertice europeo, hanno passato la mattinata a criticare le parole di Martino. "Le affermazioni dell'ex ministro della Difesa sono gravissime, incomprensibili e drammatiche come messaggio politico" ha detto Prodi che ha definito Martino "irresponsabile" e poco indicato in una futura carica di ministro. "Credo che non lo sarà dopo queste affermazioni, almeno la logica così vorrebbe" ha aggiunto Prodi.

Il Professore ha trovato un primo riscontro positivo nelle parole di Gianfranco Fini. "Andarsene dal Libano sarebbe sbagliato" ha precisato il presidente di Alleanza Nazionale. "Porre il problema della quantità di militari impegnati in Libano - ha aggiunto - è un'altra cosa. Anche perché abbiamo obblighi internazionali che devono essere assolti, ma dobbiamo anche essere consapevoli che le nostre forze armate hanno uomini e risorse limitate". Quanto invece ad un ritorno dei militari italiani in Iraq, Fini sottolinea che "non è chiesto nemmeno dai nostri alleati". Insomma, un punto di vista come minimo diverso rispetto a quello di Martino.

Conto cui affonda le parole anche il ministro degli Esteri Massimo D'Alema. "E' ridicolo che voglia tornare in guerra quando se ne vogliono andare anche gli Stati Uniti. E' al di fuori dal tempo" ha detto il responsabile della Farnesina aggiungendo che "se questo è il modo in cui la destra vuole fare la campagna elettorale e condurre la sua politica estera siamo davanti a un motivo di seria preoccupazione".

Poi in serata l'intervento di Berlusconi. Vorrebbe fare un po' di chiarezza. E la fa. Per ciò che riguarda l'Afghanistan "sono le Nazioni Unite che chiedono di aumentare i contingenti militari". Sull'impiego militare in Libano, il centrodestra ha votato a favore della missione, ma "abbiamo subito detto che non eravamo d'accordo sulle regole d'ingaggio. Una volta che saremo al governo cambieremo queste regole".
In Iraq "non pensiamo si debbano inviare nuove truppe, piuttosto istruttori militari". Più o meno quello che aveva detto Martino.

Le linee di politica estera secondo il Pdl preoccupano il segretario del Pd. "Andare via dal Libano significherebbe rinunciare alla funzione dell'Italia e dare un colpo al nostro prestigio nazionale" dice il segratrio mentre stasera incontra la comunità italiana che vive a Lugano. "Dall'Iraq - ha aggiunto Veltroni -
stanno venendo via anche gli americani e se vinceranno i democratici lo faranno in tempi abbastanza rapidi". Durissimo anche il candidato premier dell'Udc Pier Ferdinando Casini: "Un bel tacer non fu mai scritto, quando i nostri uomini rischiano in prima persona si dovrebbe essere un po' più seri e un poco più silenziosi". Più in genere "è pura irresponsabilità da parte di dilettanti allo sbaraglio parlare di dislocamento di truppe mentre i nostri militari rischiano in prima persona e quelle sentite oggi sono idee pericolose anche per le relazioni internazionali dell'Italia".
(14 marzo 2008)

Reuters
giovedì 13 marzo 2008 10:38
Martino: di più in Afghanistan, ritorno in Iraq, via dal Libano
di Antonella Cinelli e Phil Stewart

ROMA (Reuters) - Riduzione drastica della partecipazione alla missione in Libano e ritorno di personale militare in Iraq con compiti addestrativi, ma soprattutto forte aumento di soldati in Afghanistan senza più restrizioni.

Sarebbero questi gli obiettivi dell'ex ministro della Difesa Antonio Martino se, in caso di vittoria del Pdl alle elezioni, facesse ritorno a Palazzo Baracchini.

"Se fossi ministro della Difesa, ridurrei drasticamente o cancellerei del tutto la nostra presenza in Libano, e invierei truppe in Afghanistan e in Iraq, dove sono necessarie", ha detto il deputato di Forza Italia in un'intervista rilasciata ieri a Reuters.

Alla domanda se in effetti vorrebbe tornare a Palazzo Baracchini, non ha esitazioni: "Mi piacerebbe. Mi sono innamorato del mondo militare", e ricorda di essere stato finora l'unico a ricoprire l'incarico di ministro della Difesa per cinque anni filati, durante i quali ha aperto le missioni in Iraq e Afghanistan.

ALLA NATO "DOVREMMO DIRE SI'"

In Afghanistan "la Nato probabilmente chiederà militari, meno restrizioni, miglior equipaggiamento e una diversa dislocazione delle forze. Noi dovremmo soddisfare queste richieste", dice Martino, in controtendenza rispetto al governo Prodi che in questi due anni ha sempre ribadito la volontà di non cambiare né la dislocazione - la Regione centrale e quella occidentale, che comprendono rispettivamente Kabul e Herat - né il tipo di impiego dei nostri militari, che non possono partecipare ad azioni di combattimento.

"I nostri soldati in Afghanistan hanno un caveat che impedisce loro di combattere; ... hanno l'insurrezione dei talebani, e all'inizio non sono state date loro neppure quelle che la sinistra considera armi offensive, il che significa che non potevano difendersi", spiega Martino.

I caveat, vale a dire le eventuali restrizioni relative alle caratteristiche e all'area di impiego dei militari, per il nostro contingente in Afghanistan esistevano anche all'epoca del governo Berlusconi. "Ma la situazione - spiega l'ex ministro - prima era completamente diversa".

La Nato sta facendo pressione su alcuni Stati membri perché incrementino i contingenti, mettano a disposizione più mezzi e soprattutto acconsentano a dispiegare le truppe in aree particolarmente pericolose del Paese centroasiatico, come il sud.

La settimana scorsa il capo di Stato maggiore dell'esercito, Fabrizio Castagnetti, ha prospettato la possibilità di trasferire da agosto i militari italiani che ora si trovano nell'area di Kabul - dove la responsabilità della sicurezza passerebbe agli afghani - nella Regione Ovest, da tempo più turbolenta.

"Quella è una cosa diversa anche se importante, (ma) accrescere il contingente è un'altra cosa", commenta l'ex ministro di centrodestra.

Al momento l'Italia ha circa 2.700 militari in Afghanistan.

"TORNARE IN IRAQ CON ADDESTRATORI"

Per Martino il peccato originale del governo Prodi nel settore della difesa è stato un dispiegamento sbagliato delle truppe.

"Per placare la sinistra pacifista, hanno messo fine alla presenza in Iraq... Alcuni militari avrebbero dovuto restare per la missione delle Nazioni Unite di addestramento degli iracheni alla ricostruzione del Paese... Be', (il ministro degli Esteri Massimo) D'Alema come prima cosa ha cancellato questa missione, abbandonando l'Onu".

La missione "Antica Babilonia" a Nassiriya è stata chiusa dal governo Prodi nel dicembre 2006, all'incirca nel periodo annunciato dallo stesso Martino, che però aveva progettato di lasciare nella provincia di Dhi Qar un Prt, una squadra per la cooperazione civile-militare con circa 800 militari.

Per "farsi perdonare questo tradimento", prosegue Martino, sarebbe stata decisa la partecipazione alla missione dell'Onu in Libano, che vede schierati attualmente circa 2.400 militari italiani "di cui non c'è assolutamente bisogno, e che sono anche a rischio".

Per quanto riguarda invece il Kosovo, dove al momento l'Italia ha 2.600 uomini, secondo Martino forse sarebbe necessario aumentare il contingente con una maggiore presenza di carabinieri.

Resta poi il problema del budget per la difesa - arrivato a meno dello 0,9% del Pil contro lo standard Nato del 2% - e di investimenti a lungo termine che sarebbero sbagliati.

Martino critica l'impegno preso alla fine degli anni Novanta per 122 aerei Eurofighter - "si potrebbero comprare dieci F-16 al posto di un Eurofighter" - e gli investimenti per la Marina - "sosa diavolo ce ne facciamo di una portaerei?" - quando poi si è costretti a tagliare "ricambi, carburante, munizioni, addestramento, uniformi... E questi tagli ricadono sull'esercito, che fornisce il grosso degli uomini per le missioni internazionali".

Un problema, quello dei tagli alla difesa, segnalato più volte anche dal ministro uscente Arturo Parisi, di cui Martino difende l'operato: "Capisce i bisogni dei militari".

PER PROTEGGERSI DALL'IRAN SCUDO ANTI-MISSILE

L'ex ministro insiste sulla necessità di aderire al progetto dello scudo di difesa anti-missile per proteggersi dalla minaccia di un Iran "lunatico".

"Non credo che potremmo fare in Iran quello che fu fatto contro Saddam in Iraq... La sola cosa che potremmo fare è quella scelta da molti Paesi europei, cioè avere un sistema di difesa anti-missile. Credo che sia necessario".

Del resto, spiega Martino, gli iraniani "possono acquisire la capacità nucleare in un paio d'anni, ma hanno già i missili a lungo raggio" che possono colpire non solo Gerusalemme, ma anche una città come Roma.

E a proposito del presidente Mahmoud Ahmadinejad, ammonisce che "la storia insegna a non ignorare mai le minacce dei lunatici".

Dunque l'opzione militare non è sul tavolo? "Penso di no", risponde Martino, che in generale è contrario alle sanzioni perché controproducenti ma prospetta altre possibilità: "L'America dovrebbe appoggiare chiunque (in Iran) si opponga agli ayatollah. Credo sia un lavoro da intelligence".

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