venerdì 14 marzo 2008

Come sputtanare Zapatero

Di Zapatero so poco, anzi nulla, a parte che è il presidente del Consiglio spagnolo, che è socialista, che ha battuto Aznar e che è anticlericale. Dunque, non avrei niente da opporre al panegirico che ne ha tracciato la Spinelli, sulla Stampa. Data la mia ignoranza, sarei stato persino tentato di crederle, se la Signora non avesse commesso un errore: ha paragonato Zapatero a Veltroni! Ma che dico a Veltroni?! A Veltroni e anche a Prodi! Allora, ragazzi miei, delle due l' una: o la Barbara ha fatto un paragone improprio, oppure Zapatero è una scamorza qualsiasi ed il suo panegirico una bufala.
Ripeto, non ho elementi di giudizio per decidere quale sia la verità.
Ai cugini spagnoli auguro che sia vera la prima alternativa e cioè che il loro leader non assomigli neanche lontanamente a Veltroni e tampoco a Prodi.

Certo però che 'sti giornalisti di sinistra il senso del ridicolo non sanno neppure dove stia di casa ...

La Stampa
9/3/2008

Zapatero il precursore

BARBARA SPINELLI

Scrive El País, giornale fiancheggiatore di José Zapatero nelle elezioni che si svolgeranno oggi in Spagna, che ancora una volta il terrore e la militarizzazione del pensiero hanno soppiantato il pacifico duello democratico, esattamente come accadde quattro anni fa, quando un attentato islamico colpì Madrid seminando 191 morti: ancora una volta è la pistola contro il voto, l’irrazionalità violenta contro la razionalità della meditazione cittadina. L’editorialista del quotidiano parla di maledizione: ieri fu l’Islam radicale a colpire, oggi è stata l’Eta a uccidere un ex consigliere comunale, il socialista basco Isaias Carrasco.

L’attentato è vissuto come una maledizione perché sembra fatto apposta per screditare e distruggere la svolta che Zapatero da tempo impersona: svolta di natura politica e culturale. La maledizione è spagnola ma non solo. È come se qualcuno avesse deciso che si torna alla casella di partenza, prima che l’alternativa-Zapatero s’imponesse: qualcuno che ripropone la complicità fra nuove destre e terrore. Questa volta Zapatero non osserva da fuori gli eventi, è dentro il tifone. Sotto tiro c’è quel che incarna da quando, il 14 marzo 2004, sconfisse Aznar: la grande e prima alternativa nella lotta antiterrorista inaugurata dopo l’11 settembre 2001. Per questo il voto spagnolo di questa domenica è così importante, per l’Europa e l’America. Quando negli Stati Uniti ancora non era apparso Obama, fu Zapatero infatti il primo segno che la democrazia può produrre qualcosa di diverso dalla politica della paura e delle menzogne, dall’arroccamento che consiste nel dare più sicurezza e meno libertà, meno diritti. Zapatero è precursore, è il primo a mostrare come sia possibile contrastare lo Spirito dei Tempi, la rivoluzione conservatrice americana culminata nell’esperienza Bush. C’è lo stesso elemento gioioso, in Zapatero e Obama, lo stesso sprezzo verso alcune certezze dell’establishment: la certezza che la democrazia vada ristretta, che il politicamente corretto sia una minaccia, che lo Stato perda forza morale se è pienamente laico. Un evento analogo ha fatto nascere la risposta di Zapatero, e poi quella di Obama: l’attentato madrileno dell’11 marzo 2004 nel primo caso, l’11 settembre e la guerra in Iraq nel secondo. Li accomuna anche lo sguardo fiducioso verso il futuro: senza cedimenti all’apocalittico, cupo pensiero dominante. Anche di Zapatero, nel 2004, Hillary Clinton e McCain avrebbero detto: quest’uomo non ha esperienza, è troppo nuovo per i nostri paesi, quel che ci vuole non è lo sperimentale ma il collaudato. Aznar, che aveva l’esperienza ma cui mancava tragicamente la capacità di giudizio, vedeva nell’avversario una nullità, debellabile con qualche furbizia. Il nomignolo che veniva dato a Zapatero è significativo. Per aver teorizzato un’Oposición Tranquila lo soprannominarono Bambi, o peggio Sosoman. A differenza di Superman, quest’ultimo era un irrimediabile soso: un insipido, senza sale. Accuse simili colpiscono oggi Obama, o Veltroni in Italia. Non sono ritenuti abbastanza aguzzi, aggressivi. Non condividono quello che fino a ieri sembrava il moderno ma che Zapatero ha d’un colpo fatto invecchiare: l’arroganza bellicosa, l’apocalittismo politico, il terrore usato per aumentare i poteri dei governanti. Prima di Obama, fu Zapatero a insorgere contro i mali che l’apocalittismo secerne: l’uso cinico della paura. Il pessimismo sprezzante con cui si guarda al cittadino-elettore, spaventato e infantilizzato. Egualmente significativo è che Zapatero sia divenuto bersaglio tra i più temuti delle gerarchie cattoliche: soprattutto da quando Ratzinger è Papa. Con Benedetto XVI una parte della Chiesa ha scoperto l’utilità della paura, dello sguardo aggrondato e disastroso sul mondo e sulle libere coscienze. In fondo si è congedata da Giovanni Paolo II, che fu un conservatore sulle questioni morali ma che aveva saputo dire: «Non abbiate paura», come se identificasse in questa passione paralizzante, rattristante, uno dei mali contemporanei maggiori. A loro modo Zapatero e Obama hanno ripreso quell’appello, e fa impressione vedere come la Chiesa oggi li avversi, interferendo nelle loro politiche. La presa di posizione della Conferenza episcopale spagnola contro Zapatero è netta, soprattutto da quando Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e molto conservatore, è stato eletto ­ il 4 marzo ­ presidente della Conferenza al posto del più moderato vescovo di Bilbao, Ricardo Blázquez. Ma già prima, il 30 gennaio, la Conferenza episcopale aveva diffuso una nota in cui il cittadino veniva invitato a punire chi aveva screditato la Chiesa nazionale con la legge sulla memoria franchista, l’aveva offesa con i matrimoni gay e il divorzio facile, aveva pensato di poter dialogare con l’Eta se l’Eta avesse rinunciato alla violenza. Se gli attacchi a Zapatero sono stati così diffusi in Spagna ed Europa vuol dire che non era così Sosoman, insulso. Che indicava una via temibile, perché praticabile. Come Obama dopo di lui, come Prodi e poi Veltroni, egli impersonava quel che sembrava improponibile a tanti: la possibilità di avere speranze anche se l’insperabile dilaga; di rispondere con più democrazia alla democrazia inferma; di integrare immigrati e diversi; di governare con pazienza e non in continua tensione. Non stupisce che Zapatero sia un estimatore di Borges, perché la grande letteratura aiuta ad avere un sguardo meno momentaneo: che adori in particolare il Libro di Sabbia. Juan Cruz, condirettore del País, ricorda il racconto sull’Utopia di un uomo che è stanco, che narra dell’incontro con un probabile uomo del futuro e gli fa dire: «I fatti non interessano più nessuno. Sono semplicemente dei punti di partenza per l’invenzione e il ragionamento. Nelle scuole ci insegnano il dubbio e l’arte dell’oblio. La stampa, ora abolita, è stata uno dei peggiori mali dell’Uomo, giacché la sua tendenza è stata quella di moltiplicare fino alla vertigine testi inutili». Zapatero qualche esperienza nel frattempo la possiede. Non pochi elementi della sua alternativa si sono rafforzati (separazione ferrea Stato-Chiesa, legge sulla memoria franchista, educazione civica insegnata a scuola, riformismo nei costumi) ma ha fatto anche concessioni. Contrariamente a quel che vien detto in Italia, ha concesso molto anche alla Chiesa: troppo, secondo suoi estimatori. Soprattutto quando ha cercato di ammansirla finanziariamente, o ha patteggiato sull’insegnamento, inviso a tanti vescovi, dell’educazione civica. Nell’accordo col Vaticano del dicembre 2006, in cambio dell’impegno del clero a pagare l’Iva, la quota versata alla Chiesa dal contribuente viene aumentata, passando dallo 0,52 allo 0,7 per cento. L’opposizione del Partito popolare è stata singolare, in questi anni. Nominato da Aznar, Mariano Rajoy ripete i suoi slogan, ne è inerte prigioniero: stesso catastrofismo, stessa strumentalizzazione della paura, stessa incapacità ad accettare la perdita del potere (un’incapacità condivisa con la destra italiana: anche in Spagna il potere di sinistra è giudicato illegittimo, innaturale). Rajoy ripete Aznar, sposa addirittura i suoi fallimenti, compresa la guerra in Iraq. Anche dopo l’attentato Eta reagisce slealmente: invece di solidarizzare con i governanti, Rajoy ha subito intravisto un profitto. Ha chiesto che nel comunicato congiunto di venerdì venisse revocata la decisione approvata dal parlamento, favorevole a futuri negoziati con l’Eta. Può darsi che la maledizione avvantaggi stavolta i Popolari, dando loro un’inaspettata vittoria. Tutto è possibile, quando la cultura dell’accountability ­ del render conto ­ viene applicata ai governanti e non vale per chi ha fatto l’opposizione più o meno onestamente. Tutto è possibile, quando la politica della paura torna a occupare il palcoscenico, senza alternative.


vota il post

Nessun commento: