lunedì 24 marzo 2008

furto a Camelot ....

Rubo dal Blog di Camelot alcuni stralci tratti dal saggio di Guglielmo Giannini, "La folla" (1945). L' autore, giornalista ed editore, fondò il giornale l' Uomo Qualunque, poi il movimento politico omonimo, infine il partito del Fronte dell' Uomo Qualunque che ricevette ben 1.2oo.ooo voti nelle elezioni del 2 giugno 46 per l' Assemblea Costituente, ottenendo 30 seggi. Pur essendo un partito liberale e liberista, fu osteggiato da Benetto Croce. Da De Gasperi, con cui Giannini si alleò per le fatidiche elezioni politiche del 1948, ricevette "il bacio della morte": il partito praticamente si dissolse. Per una informazione veloce andate su Wikipedia, da cui traggo e riporto i punti programmatici del partito:


  • Lotta al comunismo
  • Lotta al capitalismo della grande industria
  • Propugnazione del liberismo economico individuale
  • Limitazione del prelievo fiscale
  • Negazione della presenza dello Stato nella vita sociale del paese
Poteva durare, in Italia, un partito con questi ideali?!!!!! Non solo fu schiacciato, ma ne fu tratto un vocabolo tanto fortunato (da essere arrivato fino a noi) quanto dispregiativo: "qualunquismo"! Capito, ragazzi? Liberismo=qualunquismo ......

“Lo Stato è l’amministrazione del paese, il paese è la Comunità, la Comunità siamo noi: dunque lo Stato, la ricchezza, il bene, il potere che lo Stato amministra, sono nostri. Noi vogliamo vivere tranquilli, non vogliamo agitarci permanentemente come non abbiamo voluto vivere pericolosamente: vogliamo andare a teatro, uscire la sera, recarci in villeggiatura, trovare le sigarette, ordinarci un abito nuovo, salire in autobus, non fare la guerra, salutare chi ci pare, non salutare chi non ci pare”.

Che importa a noi dei vari upp (uomini politici professionali, ndr) più o meno personalmente probi e tutti egualmente e personalmente parassitari?”.

“Ciò che noi chiediamo, noi gente, noi Folla, noi enorme maggioranza della Comunità e dello Stato, è che nessuno ci rompa più i coglioni. Nient’altro: ed è tragico che tra tanti politici professionali che si proclamano interpreti della volontà popolare, non ce ne sia uno che dica, con parole chiare e precise, questa chiara e precisa verità”.

“Un Paese che non è costretto ad occuparsi del suo governo è un Paese felice, nel quale lo Stato amministra compiendo la sua naturale funzione, lasciando che i cittadini godano la massima libertà civile. Certamente pone dei limiti a queste libertà: ma non sono limiti più restrittivi di quelli che dei buoni organi interni pongono a un uomo in buona salute (…)”.

“Il “governo morale”, lo “Stato eticoche pretende d’insegnare a pensare al cittadino ciò che esso Stato crede morale, giusto, bene, costituisce una violazione della libertà del cittadino (…)”.

“La concezione dello Stato pedagogo, mentore, tutore, seccatore, è il prolungamento dell’istituto paterno, nel quale il padre impone al figlio una morale. (…) Ma lo Stato-padre non si toglie mai dai piedi: il cittadino-figlio non ha una maggiore età da raggiungere; e le costrizioni che è esposto a subire dallo Stato-Padre sono terribili e possono culminare nella pena di morte”.

“A questo s’aggiunga che il vincolo affettivo tra padre e figlio, che modera tutto il rapporto fra il primo e il secondo, non esiste fra lo Stato-padre e il cittadino-figlio. Fra padre e figlio, il padre pensa al bene del figlio, magari sbagliando: fra Stato-padre e cittadino-figlio lo Stato non pensa che al suo interesse”.

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