Non è un paese per Thatcher | PIETRO GARIBALDI | In Italia la cultura liberale non è particolarmente di moda. La situazione in Inghilterra è differente. Non a caso un programma economico veramente liberale fu realizzato proprio in Inghilterra da Margaret Thatcher. Durante gli Anni 80 il governo conservatore privatizzò la maggior parte delle imprese pubbliche, ridusse drasticamente tasse e spesa pubblica e portò a termine un massiccio programma di deregolamentazione del mercato del lavoro e dei servizi finanziari. Margaret Thatcher mostrò una determinazione di ferro, e riuscì a resistere per un anno intero a uno sciopero dei minatori che si opponevano alla privatizzazione e chiusura delle miniere di Stato.
Tony Blair, nel suo decennio a capo di un governo laburista, non fece alcuna controriforma statalista e apportò pochissimi cambiamenti alla rivoluzione liberale introdotta dalla Lady di ferro.
È fuori di dubbio che, al di là del semplice fatto che i nostri candidati premier sono tutti maschi, in Italia non siamo stati e non saremo governati da una Lady Thatcher. Possiamo però vedere se esistono tracce di liberalismo tra le pieghe dei programmi elettorali.
Il Popolo della Libertà ha presentato un programma con sette missioni prioritarie. Tra queste sette missioni non compare la parola liberalizzazione e non si parla di riduzione del ruolo dello Stato nell'economia. Leggendo con più attenzione il programma, si scopre però che per «rilanciare lo sviluppo» è anche necessario liberalizzare. Nel concreto, il programma del centro-destra prevede una liberalizzazione dei servizi privati e pubblici per migliorare il rapporto qualità/prezzo a favore dei consumatori. Si parla anche di «liquidazione» delle società pubbliche non essenziali. La parola privatizzazione, nel senso di trasferimento del controllo in mano ai privati, non sembra trovare spazio. Un accenno alla concorrenza si trova nel programma dell'istruzione, quando si parla di «competizione tra atenei premiando qualità e risultati». Nello stesso programma è tuttavia molto facile trovare situazioni in cui il ruolo dello Stato nell'economia aumenta. Il Popolo della Libertà intende avviare un nuovo programma denominato «una casa per tutti», reintrodurre il bonus bebé, aumentare gradualmente e progressivamente le pensioni più basse e avviare un piano straordinario per gli affitti. Molti di questi ultimi interventi troverebbero spazio in un programma di un partito di ispirazione statalista. Il centro-destra non fece riforme veramente liberali quando fu al governo tra il 2001 e il 2006, con la sola eccezione dell'innalzamento dell'età di pensionamento. Alla luce del programma presentato per le prossime elezioni il Popolo della Libertà non sembra proporre una rivoluzione liberale.
Dall'altra parte il programma del Partito democratico si basa su dodici azioni di governo. Il nono punto sostiene che «concorrenza produce crescita» e che si intende approvare ogni anno una legge sulla concorrenza per liberalizzare telefonia, trasporti, distribuzione e carburanti. Si parla anche di una riduzione dei costi dei servizi finanziari e di un miglioramento delle procedure di nomina delle autorità di regolamentazione. Il Partito democratico fa riferimento a riduzioni di spesa, ma al tempo stesso promette molti nuovi interventi dello Stato in ambito di politica industriale e di politica sociale. Il Partito democratico è in una situazione molto diversa da quella in cui si trovò Blair quando andò al governo in Inghilterra, anche perché negli ultimi vent'anni nessun governo ha veramente riformato il Paese.
Entrambi i programmi presentati parlano comunque di riduzioni di tasse e di sgravi fiscali. Il programma del Popolo della Libertà promette una pressione fiscale sotto il 40 per cento (siamo oggi al 43,3). Il Partito democratico parla invece di riduzione delle tasse sulla quota di salario derivante dalla contrattazione di secondo livello.
Nonostante l’enfasi sulle riduzioni fiscali, mancano nei programmi presentati due elementi della triade liberale «meno regole, meno tasse, meno Stato nell'economia». Si sente invece una gran voglia di ulteriore intervento nello Stato nell'economia. Non solo per migliorare infrastrutture e spesa sociale, ma anche per aiutare le imprese, per superare le difficoltà del mercato del lavoro e per sostenere l'innovazione tecnologica.
Il problema dell'Italia è più culturale che politico. Non abbiamo una vera cultura liberale e gli stessi cittadini non sembrano assolutamente sentirne la mancanza. Quasi nessuno ha veramente voglia di riformare il sistema economico in senso liberale. In Italia Margaret Thatcher, il simbolo «politico» del liberalismo economico, non sarebbe certamente diventata primo ministro. A sua volta un Tony Blair italiano non potrebbe trovarsi nella comoda situazione di governare dopo un periodo di grandi riforme liberali. Tutto ciò non avrebbe nulla di preoccupante, se non il fatto che negli ultimi vent'anni il reddito inglese è aumentato di più del 20 per cento di quello italiano. La bassa crescita è anche una scelta del Paese.
Pietro.garibaldi@carloalberto.org
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2 commenti:
Questo Garibaldi è un economista.
Un economista che collabora col sito Lavoce.info, in cui lavorano economisti di sinistra: tra questi c'è Tito Boeri, cui - non a caso - è stata offerta una candidatura dal Pd.
In secondo luogo, dice cose false: afferma che non si parli di liberalizzazioni nel programma del Pdl, ad esempio. Ed è falso: punto 4 (della prima missione) del programmma, li si parla di liberalizzazioni.
Giusto per farti capire quanto sia attendibile come persona.
Parla, e non ha nemmeno letto il programma ;)
Grazie Camelot, mi hai tranquillizzato ... almeno un po' .
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